NOI DEL LICEO

pascoli schema

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  1. prof63
     
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    simbolismo
    i "quadretti di genere", le rappresentazioni di scene della vita dei campi che troviamo in Myricae é che paiono rimandare a tanta produzione letteraria e figurativa di quei decenni, in realtà sono per Pascoli lo scenario sul quale proiettare inquietudini, smarrimenti, un senso del vivere fatto di ansiose perplessità. E di conseguenza i dati "realistici" presenti nelle sue liriche si caricano, di significati e di simboli, diventano quasi dei "correlativi oggettivi', per significare altro che ne trascende l'apparenza. Con questa prima fondamentale novità Pascoli per un verso si inseriva in un orientamento presente a livello europeo in quegli anni (il simbolismo) per un altro trovava le modalità più adatte e suggestive per esprimere un senso della vita sotteso da turbamenti adolescenziali, da incertezze e da paure di fronte alla realtà storica contemporanea, e, di conseguenza, tutto proiettato verso il vagheggiamento del proprio nido familiare, verso la contemplazione della campagna come idilliaco "rifugio", verso l'ossessivo ricordo dei morti.
    lessico
    il processo di rinnovamento realizzato da Pascoli si manifesta, oltre che nella dimensione simbolica della sua poesia, in parecchi altri modi. Anzitutto, sul piano linguistico egli adotta frequentemente un lessico nel quale o entrano termini tecnici, gergali, relativi al mondo della campagna, o c'è posto per termini che sono al di qua della comunicazione, privi di senso, "pregrammaticali" ma carichi di valenze fonosimboliche, di suggestioni evocative (le onomatopee ad esempio). Inoltre, Pascoli apparentemente rispetta la prosodia e le forme metriche tradizionali, ma in realtà il singoio verso o la struttura strofica sono dissolti e disarticolati: al posto della loro compattezza armonica tradizionale, subentrano e si insinuano una versificazione e una musicalità frantumate dalle cesure, dilatate dagli enjambements, o rotte da pause, da attoniti spazi di silenzio.


    Myricae


    [tamerici, piccoli arbusti comuni sulle spiagge.

    Virgilio usa per indicare i suoi carmi bucolici: poesia che si eleva poca da terra – humilis». raccolta poetica di Giovanni Pascoli, Myricae, riprende un verso che l'autore pone come epigrafe all’inizio della raccolta: «Arbusta iuvant, humilesque myricae» (Virgilio Egloga IV, 2). Lo stesso Pascoli illustra il significato di questo titolo: « Myricae [tamerici, piccoli arbusti comuni sulle spiagge] è la parola che Virgilio usa per indicare i suoi carmi bucolici: poesia che si eleva poca da terra – humilis».

    Myricae apparve per la prima volta il 10 agosto 1890, come raccolta di 9 poesie.
    Tuttavia la prima edizione ufficiale di Myricae è del luglio 1891 e comprende 22 liriche. Le successive edizioni apparvero nel gennaio 1892 (72 liriche); marzo 1894 (116); febbraio 1897 (152); nel 1900 (156). Le due edizioni successive apportano alcune variazioni all'esistente.
    Un'importate Prefazione dell'autore, in occasione della terza edizione del 1894, favorisce l'interpretazione autentica dell'opera, dedicata alla memoria del padre («A Ruggiero Pascoli, mio padre»):
    «Ma l’uomo che da quel nero ha oscurata la vita, ti chiama a benedire la vita, che è bella, tutta bella; cioè sarebbe; se noi non la guastassimo a noi e agli altri. Bella sarebbe; anche nel pianto che fosse però rugiada di sereno, non scroscio di tempesta; anche nel momento ultimo, quando gli occhi stanchi di contemplare si chiudono come a raccogliere e riporre nell’anima la visione, per sempre. Ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del male volontario danno a torto, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci sembra che ci culli e addormenti. Oh! Lasciamo fare a lei, che sa quello che fa, e ci vuol bene.» Livorno, marzo 1894.
    Pascoli ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre «A Ruggiero Pascoli, mio padre».
    Tematiche
    • La rievocazione dei famigliari scomparsi (poemetto Il giorno dei morti);
    la vanità della felicità (Allora, versi 9 – 16: «Un giorno fu quello, ch’è senza / compagno, ch’è senza ritorno; / la vita fu vana parvenza / si prima si dopo quel giorno! Un punto!….così passeggero, /che in vero passò non raggiunto, / ma bello così, che molto ero / felice, felice, quel punto!» (pubblicata il 23 febbraio 1896);
    • il mistero che avvolge il mondo (Il nunzio, versi 12 – 17: « Che brontoli, o Bombo? / che avviene nel mondo? / Silenzio infinito. / Ma insiste profondo, / solingo smarrito / quel lugubre rombo». Una nota spiega: «nel mistero della vita non trovano risposta gli interrogativi che l’uomo si pone»);
    • l’incapacità del sapiente di scoprire e rivelare il mistero dell’universo (Sapienza: « Oh! Scruta intorno gl’ignorati abissi: / più ti va lungi l’occhio del pensiero, / più presso viene quello che tu fissi: ombra e mistero»);
    • la vanità della vita (Sogno d’ombra, versi 6 – 10: «Vissero. Quanto? le pupille fisse / chiedono. Uno la gente di sua gente / vide; l’altro, non sé. Ma l’uno visse / quello che l’altro: un sogno d’ombra, un niente»);
    • la rievocazione della morte del padre (X Agosto, dove prevale tutto il dolore, il pessimismo e l'impotenza di fronte al male del mondo, versi 17 – 24: «Ora là, nella casa romita, / lo aspettano, aspettano in vano:/ egli immobile, attonito, addita / le bambole al cielo lontano / e tu, Cielo, dall’alto dei mondi / sereni, infinito, immortale, oh!, d’un pianto di stelle lo inondi / quest’atomo opaco del male!»);
    • la rappresentazione della natura vista nei suoi momenti più inquietanti e sinistri (L’Assiuolo, strofa finale: «Su tutte le lucide vette / tremava un sospiro di vento: squassavano le cavallette / finissimi sistri d’argento / (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più); / e c’era quel pianto di morte…/ chiù»; ma la natura è vista anche in altri particolari momenti come Temporale, Pioggia, Novembre, Fiume, Germoglio, Il lampo, Il Tuono, ecc…);
    • l’attività del poeta, che cerca di creare sensazioni gradevoli, ma non si sente abbastanza apprezzato dalla gente;
    • disamore per la vita ricevuta dalla madre scomparsa (Colloquio, versi 12 – 15: «Io devo dirti cosa da molti anni / chiusa dentro. E non piangere. La vita / che tu mi desti – o madre, tu! – non l’amo.»);
    • il sogno (Ultimo sogno, nella quale immagine un fiume che scorre verso un mare inesistente: «Uditasi un fruscio / sottile, assiduo, quasi di cipressi; / quasi d’un fiume che cercasse il mare inesistente, in un immenso piano: io ne seguiva il vano sussurrare, / sempre lo stesso, sempre più lontano»).
    Questi temi si intrecciano con il dolore per i bambini sottratti alla vita (Placido, dedicata a un cugino del poeta che morì a 14 anni. Il poeta descrive il giorno che insieme alla sorella Maria ne visitò la tomba, la mattina della sepoltura: «Io dissi a quel vecchio, “Dove?” Io / cercavo un fanciullo mio buono, / smarrito: il mio Placido: mio! Cercavo quelli occhi (….un cipresso?) / co’ quali chiedeva perdono / di vivere, d’esserci anch’esso») e altri temi ancora, solo accennati, suggeriti, sparsi tra le immagini e le scene della campagna e della natura. Sono versi isolati in mezzo a visioni campestri e astrali e a immagini simboliche che esprimono i sentimenti inquieti e malinconici del poeta.
    «La raccolta si compone di brevi frammenti lirici e bozzetti che descrivono, a rapidi tocchi, fenomeni naturali, proiezioni di memorie, inquietudini e suggestioni simboliche» (Beatrice Panebianco).
    Myricae è un’opera eterogenea in cui prevale l’oscurità del significato della vita e l'inconoscibilità del mistero dell’universo (Il cane, in cui l’umanità non comprende perché passa il carro, simbolo del corso lento e fatale della vita che lascia dietro di sé l’affaccendarsi dell’uomo, vano e contraddittorio come quello del cane: « Noi mentre il mondo va per la sua strada, / noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l’affanno, / e perché vada, e perché lento vada. / Tal, quando passa il grave carro avanti / del casolare, che rozzon normanno/ stampa il suolo con zoccoli sonanti, / sbuca il can dalla fratta, come il vento; / lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia. / Il carro è dilungato lento lento. / il cane torna starnutando all’aia»).
    In sintesi, Myricae. è una rievocazione dei familiari scomparsi del poeta, il che giustifica il tono triste all’intera opera. I defunti lo invocano per non essere dimenticati, per ricevere quella giustizia che fu loro negata in vita.
    Il senso d'emarginazione dell'uomo, che vaga nella società come un esule, ha dettato la poesia Patria e il finale di Romagna. Tuttavia la presenza di piante e fiori servono a ristabilire intorno al poeta un mondo naturale e simbolico a lui familiare.
    La tesi principale che emerge da Myricae riguarda certamente la vanità della vita e della felicità degli esseri umani, (La felicità, Paese notturno, Rammarico, Il nido. Il ponte).

    Contesto storico
    Il contesto storico si estende per più di un ventennio dal 1891 al 1903, ma la raccolta non fa alcun riferimento a fatti politici e storici accaduti in questo periodo. Ad eccezione delle poesie dedicate alla morte del padre, tutte le altre esulano dalla contemporaneità del poeta.
    Si può dire che le liriche di Myricae siano la concretizzazione ante litteram dell’estetica di Benedetto Croce. Sono la sintesi di sentimenti e di immagini, di sentimento e di espressione; unione di tumulto e calma; l’impulso passionale e la mente che lo contiene, in quanto in grado di contemplarlo.
    Il contesto sociale è quello del contadino che guarda con apprensione alla natura, spaventato dal convulso e disordinato progredire della società.
    Pascoli si sente soprattutto contadino, a suo agio nella campagna ed estraneo al mondo caotico e rumoroso delle città.
    Nell’Europa di fine secolo, procedono da un lato il progresso industriale, dall'altro l'organizzazione del movimento socialista. La nuova cultura attinge sia dal socialismo, sia dal decadentismo europeo, che attraversa in tutta Europa un momento di grande popolarità. Positivismo e decadentismo. Come scrive Beatrice Panebianco: «La sua [del Pascoli ndr] visione pessimistica prende avvio dal rifiuto della scienza, che non ha saputo dare la felicità all’uomo e arriva ad indagare proprio quella realtà – negata dal Positivismo – che si trova al di là di ciò che appare. Il suo Decadentismo si esprime nella concezione della poesia come rivelazione dell’ignoto, nella tendenza a cogliere nelle cose il senso del mistero, il simbolo che si cela dietro l’apparenza».
    Il contesto letterario è così caratterizzato dagli influssi del Simbolismo francese, del decadentismo europeo, del verismo e della tradizione umanistica italiana. Myricae è senza dubbio una opera poetica simbolista anche per la presenza di forme metriche e retoriche fonosimboliche, parole fono-espressive, per le moltissime onomatopee. Ma la raccolta è anche ricca di riferimenti al mondo classico, di cui il Pascoli era un profondo conoscitore. La terza sezione prende spunto dai poeti gnomici dell’antica Grecia come Esiodo o Epicureo come nella poesia Convivio.
    Ma lo sviluppo dell'opera in senso simbolista è progressivo. Se le prime poesie della raccolta sono espressioni del verismo del secondo Ottocento, successivamente – dopo che il Pascoli chiarì la sua poetica nello scritto in prosa Il Fanciullino – le liriche prendono una piega prima impressionista e poi simbolista. Nella sua totalità, l’opera è una sintesi, o meglio un raffinato intrecciarsi di poesie naturalistiche, impressioniste e simboliste. Per questo motivo Myricae è considerata la raccolta che ha dato vita alla poesia moderna del primo Novecento. Ecco cosa scrive Marisa Carlà sull’evoluzione dell’opera:
    «Le fasi di elaborazione di Myricae corrispondono all’evoluzione e alla definizione della poetica dell’autore, che procede da una scrittura di tipo descrittivo ad una di tipo simbolico, da un linguaggio preciso ed esplicativo ad un indeterminato e allusivo […] Subentrano a partire dall’edizione del 1894 tematiche più intime, legate ai ricordi, alla famiglia, al nido distrutto, allo stretto rapporto che lega i vivi e i morti; in queste liriche il linguaggio e le immagini assumono valenze simboliche sempre più profonde».
    Myricae propone una grande varietà di forme metriche: dalla terzine a rima doppia (Il giorno dei morti), a terzine di settenari; da quartine di novenari a sonetti, da strofe saffiche a rispetti, da madrigali a ballate, da tre strofe di novenari (L’assiuolo) a una piccola ballata ecc… Questa varietà metrica rompe con la tradizione poetica italiana, tanto che qualcuno è stato tentato di accennare a uno sperimentalismo del Pascoli. Come scrive Cannella: «Tale ricchezza di sperimentazione linguistica e metrica induce a considerare Myricae un’opera autonoma e ben individuata, la più originale, insieme ai Poemetti, della produzione pascoliana».
    Sulla metrica ecco cosa scrive Marisa Carlà: «Rilevante anche il rinnovamento che Pascoli attua sul piano metrico. Infatti senza tralasciare i versi della tradizione, dal ternario all’endecasillabo, innesta forme e metri nuovi adatti ad esprimere assonanze ed allusioni. Il verso frantumato al suo interno mediante l’uso frequente della punteggiatura l’uso frequente degli enjambements che spezzano sintagmi uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo. Molti richiami fonici sono creati con la ripresa delle parole chiave, con le assenze, le allitterazioni e le rime interne che riducono l’importanza della rima a fine di verso.»
    Le figure retoriche sono numerose e di grande importanza: dalla analogia alla sinestesia, dalle onomatopee al fonosimbolismo, dall’ellissi del verbo alla costruzione per asindeto.
    Il tono emotivo preminente dell’intera opera è portatore di due grandi sentimenti: al dolore per la morte del padre e della madre, che apre la raccolta, si sovrappone il senso di quiete e di rasserenamento che fornisce la natura. A questi due grandi moti dell'anima si assommano sentimenti più specifici del poeta: nostalgia, malinconia, angoscia, smarrimento.
    Come il mondo paesano dei pescatori d’Abruzzo – apparentemente simile al suo equivalente verghiano – era cantato dal D’Annunzio, con quel gusto tipicamente decadente della rappresentazione di violenza, di barbarie e di sangue, così questo mondo campestre di Myricae non rappresentava per Pascoli la scoperta veristica, l’epopea del quotidiano, ma era lo scenario su cui proiettare inquietudini, smarrimenti e un senso del vivere fatto di ansiose perplessità. E allora quei dati realistici – i paesaggi, l’aratro dimenticato in mezzo al campo, quel secco ramo di biancospino – si caricano di significati e di simboli.
    Un linguaggio che assomiglia molto all’italiano moderno implica un conscio allontanamento del Pascoli sia dal linguaggio aulico del Carducci, sia dal linguaggio alto del Leopardi.
    L'autore propende per il linguaggio dei Simbolisti francesi, immettendovi l’analogia, la sinestesia, e le onomatopee. Il linguaggio preciso dei fiori e degli uccelli, in molte poesie Simboliste si intreccia con un linguaggio allusivo, evocativo, simbolico, fonosimbolico, così da creare un linguaggio nuovo e più moderno rispetto al linguaggio poetico tradizionale. Beatrice Panebianco scrive: «Da un punto di vista lessicale, il poeta accosta termini dotti e comuni; è sempre particolarmente preciso nel citare piante (tamerici, pruno, gelsomini) o uccelli (pettirossi, assiuoli, allodole), innovando una tradizione poetica, per cui tutti i fiori erano rose e tutti gli uccelli erano usignoli. La parola poetica è ricca di analogie e di allusioni, acquista valore evocativo e fonosimbolico, il cui suono, cioè, rinvia a un significato simbolico tale da creare emozioni e stati d’animo.».
    Un testo magistrale sul linguaggio pascoliano è quello di Gianfranco Contini. In questo saggio del 1955, Contini afferma che Pascoli ha usato tre tipi di linguaggio diversi: un linguaggio pre-grammaticale composto dalla fitta presenza di onomatopee, di interiezioni proprio degli animali e delle cose, e non degli uomini. Un altro tipo è costituito dal linguaggio grammaticale, derivato dall’uso poetico comune. C’è infine un terzo livello, quello del linguaggio post-grammaticale, formato dai gerghi o da lingue speciali come l’italo-americano. Secondo Contini nell’ambito del linguaggio pre-grammaticale Pascoli è un grande innovatore, e come scrive Baldacci:
    «Il Pascoli non inventa, ma accoglie l’interpretazione (fonosimbolica) che prima di lui, da sempre è stata data dal canto degli uccelli. Insomma se questa lingua del Pascoli non è registrata in nessun vocabolario, la sua radice è tuttavia in una continuata tradizione d’uso popolare. Il suo azzardo non fu di carattere inventivo, bensì traspositivo (il che non diminuisce nulla al suo merito): trasportare nel dominio della poesia scritta ciò che era appartenuto fin ora al dominio dell’intuizione linguistica al suo livello primo e nascente: cioè al livello della mimesi fonica».
     
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